Archeopünk – prima parte
Il 14 agosto 2003 il Northeast blackout colpì una vasta porzione degli Stati Uniti cento-orientali e la provincia canadese dell’Ontario, coinvolgendo dieci milioni di canadesi e 45 milioni di persone in otto stati americani. La riparazione della rete energetica richiese fino a due giorni nel grosso della zona colpita ma le aree più periferiche impiegarono fino a una settimana. Dopo il blackout del 1999 nel Brasile meridionale, si è trattato del più esteso calo di elettricità della storia. Fu causato principalmente da un bug nel software di un sistema d’allarme di una sala di controllo della First Energy Corporation, con sede in Ohio. La rete dunque funzionò come un vasto sistema di interconnessione che coinvolse una vastissima area che durante il blackout sparì dai satelliti. Nel giugno 2016 due blackout consecutivi colpirono metà della città di Torino.
Per i prossimi anni, secondo quanto riporta lo storico inglese Niall Ferguson, bisogna attendersi una crescita esponenziale di centri metropolitani che diventeranno megalopoli ipertecnologiche, veri e propri centri dell’economia e della politica globale. «Il ritmo della diffusione tecnologica globale rimarrà molto probabilmente alto, incoraggiando il processo di inurbazione. Le nuove “megalopoli” del mondo in via di sviluppo – conurbazioni con una popolazione di oltre 10 milioni – avranno perciò un ruolo decisivo nel XXI secolo» (Il grande declino, Mondadori). Può darsi che questi immensi agglomerati urbani conoscano concentrazioni di popolazione impressionanti, svolgendo a livello esponenziale il ruolo che durante la Rivoluzione Industriale fu delle prime capitali urbane e produttive europee.
Questa crescita incontrollata di tipo economico e tecnologico si associa a un forte controllo oligarchico delle conoscenze e dei mezzi di produzione e delle strutture di controllo della società. Il mondo delle megalopoli si prefigura con le caratteristiche immaginate dalla distopia cyberpunk ed è stata ben descritta da Nick Land nella raccolta Fanged Noumena (Urbanomic/Sequence Press) in un suo saggio stimolante: «Fusione: sindrome cinese planetaria, dissoluzione della biosfera nella tecnosfera, terminale bolla critica speculativa, ultravirus e una rivoluzione priva di qualsiasi escatologia cristiano-socialista (al fondo del suo nucleo consumato di sicurezza spezzata)».
Le megalopoli diventano le capitali mondiali e sempre più diventano città-stato in perenne espansione. Ovunque le stesse catene commerciali e gli stessi hotel. Insegne dai colori sgargianti e pubblicità a coprire l’orizzonte. E vite incolonnate, abitatori delle cavità metropolitane, passeggiatori di strade artificiali.
Il sistema si autoalimenta, cresce della sua produzione e si potenzia nella ricerca scientifica. Ciò che lascia alle masse sono strumenti di consumo, prodotti della catena di ritorno capitalistica alla massima potenza. Il produttore è il consumatore. Ma il potere del fuoco prometeico è al sicuro nei laboratori e nei settori industriali e la vita diventa sempre meno biologica, presa com’è in una rete di interdipendenza tecnomorfa. Si prepara il «trionfo tecnologico dell’inanimato. Una escatologia negativa; la nullità dell’opposizione, la dissoluzione della storia, la neutralizzazione della differenza e la cancellazione di ogni possibile configurazione di un’attualità alternata» (Marc Downham, Cyberpunk, Shake ed.).
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Il sistema si riorganizza attraverso le crisi e ogni processo viene supervisionato dalle oligarchie al potere. Per dirla con Bruce Sterling (Giro di vite contro gli hacker): «I danni più disastrosi che il sistema avesse mai riportato se li era inflitti da solo».Il blackout è forse un imprevisto che può però essere efficacemente messo a frutto; oppure è un attimo di arresto di un sistema che procede senza sosta. In ogni caso, un blackout mondiale avrebbe esiti interessanti.
Il movimento cyberpunk si proponeva di prefigurare spazi e modalità di lotta in un mondo distopico, dominato da multinazionali e tecnologie informatiche. è stato un movimento anarchico capace di intuizioni stimolanti, che hanno spesso influito sul modo di approcciare la rete internet e i computer. Oggi resta valida la lotta per un libero accesso all’informazione, anche se non è la cosa fondamentale. La ribellione cyberpunk insegna che il possesso della tecnologia e la capacità di utilizzarla appieno sono aspetti decisivi di ogni lotta politica: «I progressi della scienza sono profondamente radicali – anche potenzialmente rivoluzionari» (M. Downham). I modelli _rimitivismi non hanno potenzialità sovversive.
Eppure rotture epocali non si sono verificate ed anzi il sistema ha ampiamento fatto uso a suo vantaggio dei vari hacker e programmatori. L’utilizzo di reti e strumenti progettati e creati dalle multinazionali costringe nelle maglie di quel potere frenante che impedisce al futuro di fare irruzione. «La modernità si definisce una cultura calda, presa in un avvitamento spiraloide con deviazioni entropiche che maschera un’invasione dal futuro, scagliata oltre la sicurezza terminale contro tutto ciò che impedisce il processo di fusione» (N. Land).
Sta quindi a un movimento culturale dissidente creare produzioni semiotiche in grado di diventare reali, provocando l’intervento del futuro nel presente. Perché questo sia possibile queste comunità devono collocarsi ontologicamente ai margini del sistema, ponendosi nelle zone di frattura, dove il sistema è più vulnerabile e dove per primo interviene il mutamento.
Si entra, per usare un’immagine letteraria, nella terra protetta da sentinelle armate, al di sotto e al di sopra della megalopoli: «Ci si nasconde nella Città Oscura. Meglio ancora, ci si nasconde sopra la Città Oscura, perché il Pozzo è invertito, e il fondo tocca il cielo, il cielo che la Città Oscura non vede mai, sudando sotto il suo firmamento di resina acrilica; in alto, dove i Lo Tek si annidano nel buio come grottesche sculture» (W. Gibson, La notte che bruciammo Chrome, Mondadori).
Queste zone si trovano dove il conflitto è facilitato da masse straniere, dalla povertà, dal degrado e dalla disgregazione sociale. Lì può fissarsi un nuovo principio che operi secondo leggi proprie, tentando di rendersi autonomo sul piano tecno-scientifico e culturale. Perché il prossimo blackout diventi l’occasione per un irruzione di forze dell’avvenire.
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Il pensiero è un’arma potentissima e l’immaginazione, insegna la letteratura fantascientifica, svolge un ruolo anticipatore, non solo prefigura i tempi ma crea le condizioni fenomenologiche perché gli eventi prendano una piega piuttosto che un’altra. Dunque questi ribelli non devono temere di osare immaginare templi di pietra ornati da simboli primordiali e fiaccole dedicati alla progettazione e produzione di bio-tecnologie di propria invenzione. L’adattamento è stagnazione, l’innovazione costringe il mondo circostante ad adattarsi.
Così accadde durante la Prima Guerra Mondiale quando, tra il 1915-1918, la Germania iniziò ad impiegare la flotta di sottomarini, i celebri U-Boot, per rompere l’accerchiamento navale inglese sul continente e rendere più difficili i rifornimenti verso l’isola. L’inattesa tattica tedesca sortì effetti importanti, tanto che ci fu un momento in cui la Gran Bretagna temette di essere tagliata fuori dagli aiuti esterni. Fino alla decisiva entrata in guerra degli USA nel 1917.
Vi saranno sempre maggiori parallelismi tra virus informatici e la diffusione di batteri e microbi, forse per la crescente minaccia di armi e guerre batteriologiche su piccola e larga scala. Si salverà chi avrà gli strumenti per proteggersi e soprattutto chi potrà contrattaccare. Mentre le oligarchie lavorano sempre più sul microscopico e intervengono sulla genetica, portando la bioingegneria a livelli spesso sconosciuti al grande pubblico. La tecnica non smette di dominare le vite di ciascuno e sempre la superiorità tecnico-scientifica ha deciso del destino delle civiltà. Se non è possibile un ritorno al passato, può però essere pensato e anticipato, perfino evocato, un futuro di segno differente, fondato su principi diversi da quelli dominanti.
L’idea archeofuturista di Guillaume Faye di unire a problemi del futuro soluzioni arcaiche, il mito allo sviluppo tecno-scientifico appare ancora vitale e stimolante. Rispetto al movimento cyberpunk e all’illusorio ricorso alla vuota dialettica di derivazione marxista, si risale alla filosofia presocratica di Eraclito, alla politica platonica, all’Iliade e all’Eneide unite alla poesia di Hölderlin e alla filosofia di Nietzsche e Heidegger con lo scopo di mutare la direzione del tempo, strappando il futuro dal suo nascondimento, propiziando l’avvento del mondo rigenerato.