La luce notturna del nuovo inizio – note e considerazioni a margine de “Il sole di Mezzanotte – Aurora del soggetto radicale” di A. Dugin
La luce notturna del nuovo inizio – note e considerazioni a margine de “Il sole di Mezzanotte – Aurora del soggetto radicale” di A. Dugin AGA 2019
Da qualche mese sembra essersi rivitalizzato un interessante dibattito sulla natura dell’individuo differenziato e sul nuovo inizio: alle origini di questo confronto il breve ma prezioso testo realizzato da AGA che raccoglie gli insegnamenti fondamentali di quel Teoria e Fenomenologia del Soggetto Radicale di Aleksandr Dugin.
In continuità filosofica con il dibattito post evoliano, Dugin si riallaccia ad un filo che pareva interrotto almeno dal 1988, anno nel quale Barbarossa pubblicò il provocatorio Tradizione e/o Nichilismo, Letture e Riletture di Cavalcare la Tigre, con scritti, tra gli altri, di Terracciano, Omar Vecchio e Franco Freda.
Il tema del portarsi al limite e al superamento delle ideologie e del tradizionalismo stesso, era stato infatti accennato già al termine di quegli edonistici anni ’80, anche se la storia del pensiero alternativo italiano dimostra che queste preziose intuizioni rimasero almeno in parte sulla carta, non avendo infatti una forte eco nella vita socio politica se non a livello di piccole conventicole di iniziati.
Quella odierna di Dugin è una profonda e preziosa rilettura – soprattutto non mediata dalla razionalità – dell’individuo differenziato di Evola, in tutte le sue implicazioni metastoriche e metafisiche.
«Appare il Soggetto Radicale, sola forma di opposizione possibile. Non intende salvare la modernità, la sera – ossia il preludio della Mezzanotte – ma sottoporsi a un’esperienza più fondamentale, mettendosi alla prova. È la sua volontà trascendente ad ambire all’abisso ontologico più profondo»
Dugin ribadisce quindi la volontà del Soggetto Radicale di non essere un conservatore ma piuttosto colui che porta a compimento la post modernità. Tale soggetto – definito terribile, freddo e inumano – è pronto, ci vien da dire, a dare quella famosa spinta a ciò che sta per cadere, in linea di continuità con Nietzsche ed Evola.
Estraneo al mondo moderno, un monarca vestito da straccione, sa che «L’unica possibilità che gli resta è trovare una scintilla sacra nella propria interiorità.». Il fondo di sé stessi, il sole nascosto e interiore sono ciò che conta veramente. Un monarca che vuole risolutamente e afferma il ciclo cosmico, senza subirlo, in una piena accettazione dell’amor fati.
Come Wotan sa che il crepuscolo degli Dèi e la morte di Balder avverranno perché sono processi necessariamente susseguenti alla definizione del cosmo ordinato di Asgard, macchiata dall’inganno di Loki verso i giganti.
«E se l’intero processo ciclico di degradazione dall’Età dell’Oro all’Età del Ferro non fosse altro che una conseguenza dell’avventura del Soggetto Radicale? E se questo soggetto generasse i vari piani di un inferno sempre più condensato al fine – singolare, forse addirittura riprovevole – di mettersi alla prova nell’abisso della realtà?»
Il sole di Mezzanotte è la visione archetipica e alchemica alla quale Dugin si riferisce come al retroterra polare e noumenico sottostante il sole visibile: per l’autore russo tale forza polare e cosmicamente agente è il Soggetto Radicale stesso.
«Una nota formula alchemica parla di un nero più nero del nero: è il sole di mezzanotte […]. Dove cercare questo Sole Nero? Da nessuna parte: non esiste, al pari dell’Iperborea che tanto fascinò Nietzsche»
Eppure noi sappiamo – anche se Dugin per ora non ne fa cenno – che il simbolismo polare del Sole Nero e dello swastika rimandano proprio al moto del sole attorno ad un centro, la Thule iperborea, fenomeno che possiamo osservare solo nelle regioni dell’estremo nord, in quella origine artica del veda, patria originaria della Tradizione, dove in occasione del solstizio d’estate possiamo ammirare lo spettacolo del Sole di Mezzanotte.
È evidente che le possibilità di rovesciamento dell’attuale condizione post moderna passano anche attraverso una antropologia alternativa che rilegga l’origine dell’umanità non in termini di Out of Africa ma anche in termini proprio di origini iperboree. Chiaramente questa rilettura antropologica, che scardinerebbe il paradigma della grande sostituzione e della grande sostituibilità delle etnie e dei popoli, a livello simbolico si trasforma nel sole interiore, non visibile.
«Noi non vogliamo restaurare alcunché, ma far ritorno all’Eterno»
Si tratta del superamento della visione nietzschiana dell’eterno ritorno nel ritorno dell’eterno già prefigurato da Junger nel suo romanzo distopico Eumeswil. Analogie che vedremo, non si fermano a questa formula.
«Nel mondo moderno, il Soggetto Radicale si sposta dal centro alla periferia del cerchio, dell’Essere, della società della cultura e dell’uomo. Vive ai margini, in condizioni semi-umane, tra rovine.»
Il parallelo con colui che si dà alla macchia, il Waldganger jungeriano, e poi con l’Anarca di Eumeswil è evidente. Tale Anarca d’altro vive in una città nord africana post apocalittica, abitata da fellah sradicati e soprattutto senza storia, una massa che sembra tratta a piene mani dal tramonto dell’Occidente spengleriano. Eumeswil è una pseudo polis sorta al termine del gigantesco e apocalittico conflitto che ha determinato la fine dello stato mondiale.
I fellah sono dominati dalla Casbah, cittadella fortificata dove l’Anarca lavora al servizio di notte presso la corte del tiranno della città, il Condor. In una atmosfera di corte intrisa di un presunto gusto omosessuale e pederasta, l’Anarca si sottrae ai riflettori e alle attenzioni dei potenti per pianificare una via di fuga, per darsi alla macchia. Uno dei suoi principali ispiratori è Attila – riferimento non tanto all’Attila storico quanto all’Attila delle saghe germaniche e del carme groenlandese eddico. Questi è il medico di corte e principale consigliere del Condor, esperto conoscitore delle regioni iperboree e artiche, dove ha vissuto una esistenza da cacciatore e avventuriere. È sfuggito alla devastazione atomica attraversando con carovane di disperati il deserto post nucleare per poi rifugiarsi e rinascere nella grande foresta dalla quale l’Anarca è fatalmente attratto. Egli allestisce infatti, tra le rovine di un bunker, il suo rifugio, tra il limitare del deserto e la grande foresta, nella prospettiva di darsi alla macchia. Scomparirà senza lasciare traccia al termine di una grande battuta di caccia, una sorta di caccia selvaggia postatomica.
D’altro canto una parte delle riflessioni di Ernst Junger da sempre si abbinano al percorso evoliano, basti pensare all’importanza dell’Arbeiter/Artefice (cit.) per il barone Evola, che vi dedicherà un noto testo. La capacità dell’Arbeiter/Artefice (cit.) di costruire il suo trono come Forma, l’essere in forma di cui parlava anche Spengler, nel bel mezzo della mobilitazione totale, che sembra essere riecheggiata da Dugin, nell’affrontare la figura del soggetto radicale in relazione all’ambiente parossistico e caotico della post modernità.
«Il Soggetto Radicale dona all’uomo moderno il senso della morte ma anche della vita – senonché, si tratta di una vita talmente frenetica da risultare più terribile della morte stessa, una vita che lacera lo stesso laceramento. Non è la vita normale, che nella Tradizione riunisce ciò che è sparso e nella modernità si trascina per inerzia, ma una vita particolare che esacerba la rottura. Meglio non avvicinarsi: è terribile»
Non siamo molto distanti dalla descrizione della mobilitazione totale delle grandi battaglie di materiali di jungeriana memoria, solo che oggi i bombardamenti sono operati con il social engineering, con i media, con la rieducazione coatta ai disvalori di massa, alle mode ideologiche e così via.
Esacerbare la rottura è il veleno che diviene farmaco, la Via della Mano sinistra, che reintegra paradossalmente il nuovo inizio in un atto iniziatico di rovesciamento al termine della discesa agli inferi del soggetto radicale. Come disse William Blake «La strada dell’eccesso porta al palazzo della saggezza».
«Nel mondo più basso, invece, regnano le tenebre, sebbene anch’esse non siano senza luce del tutto: nella tenebra questo lume è nascosto e non si manifesta.»
Ritorna l’idea già espressa in alcune forme di cabala di quelle scintille di luce divina che sarebbero rimaste perdute negli anti mondi, nei gusci o scarti della creazione; quella stessa Cabala che ci parla di Sorat, il demone solare così simile al norreno Surtr e all’etrusco falisco Suri. Ma è proprio in questa dimensione infera, che Dugin qualifica apertamente come demoniaca, che il Soggetto Radicale, deve rimanere sé stesso e vincere la prova definitiva atta a rovesciare la post modernità in Nuovo Inizio. Un compito non differente da quello del Vira tantrico e dell’Arbeiter jungeriano al cospetto delle forze titaniche scatenate dalla tecnica.
Terminando questi brevi accenni, che speriamo possano incuriosire e portare alla lettura integrale del saggio dughiniano, vale la pena di soffermarci sulla complessità del termine sacer nel mondo indoeuropeo delle origini. Troppo spesso infatti si sente parlare di sacralità e di sacrificio nel mondo degli appassionati di studi tradizionali, senza che ad esso si leghi una profonda ricerca etimologica. La dimensione del sacro è molto più consona a quella del Soggetto Radicale di Dugin, che non alla visione consolatoria dell’idiotismo cattolico che si crede tradizionalista.
Così si esprime E. Benveniste nel suo noto Vocabolario delle istituzioni indueoropee:
«È in latino che si rivela il carattere ambiguo del “sacro”: consacrato agli dei e carico di una colpa incancellabile, augusto e maledetto, degno di venerazione e che suscita l’orrore […]. Perché sacrificare vuol dire di fatto “mettere a morte” quando propriamente significa “rendere sacro”? Perché il sacrificio comporta necessariamente una condanna a morte? […] Per rendere sacra la bestia, bisogna escluderla dal mondo dei vivi, bisogna che essa superi la soglia che separa i due universi; è il fine della messa a morte. Colui che è detto sacre porta una vera colpa infamante che lo mette fuori dalla società degli uomini: si deve fuggire il suo contatto»
Così è sacro ciò che è posto ai margini: il proscritto, il waldganger, il lupo gli altri uomini delle saghe, Beowulf, l’Orso Lupo, pericoloso e intriso di furore. Il soggetto radicale è sacro perché ha la responsabilità – che si confonde persino con la colpa – di aver accettato la sfida di uscire dal mondo dell’origine per provare sé stesso durante la discesa agli inferi, la catabasi che con il post moderno potrebbe trovare il suo rovesciamento in un nuovo inizio.
D’altro canto Dugin, introducendo il simbolismo del sole di mezzanotte, per descrivere la dicotomia di giorno e notte utilizza i noti termini di ascendenza nietzschiana di apollineo e dionisiaco. Crediamo che in tal senso sia più sensato parlare di Mitra e Varuna, forse ancora meglio di Diaus Pitar e Varuna, con la loro controparte in Tyr e Wotan, Zeus e Urano, Numa e Romolo.
*Deiwos, divinità del cielo diurno e luninoso, da cui derivano Deus, Zeus, ma anche il termine per il designare il giorno, il dì, inglese Day, celtico Dagda è il vero patrono del giorno, con la sua amicizia per gli uomini e tra gli uomini, il thing germanico, il nume di Dius Fidius.
Wodanaz e Varuna afferiscono invece ad un’altra natura: Varuna è un asura, un demone più antico di Indra, svolge una funzione sovrana e notturna, lega gli uomini a sé con vincoli tremendi. Asura però è imparentato con il runico Ansuz, da cui derivano gli Asi, divinità del soffio vitale, capitanate dall’estatico Wodanaz. Wodanaz, è il signore notturno degli infuriati, cavalca nelle notti più buie del solstizio d’inverno a capo della caccia selvaggia, formata da guerrieri morti sul piano uranico e dalle loro controparti terrene formate dai guerrieri orso e lupo sul piano umano: uomini ai margini, entusiasmati dal demone della frenesia e del furore. È in questa notte del solstizio d’inverno che il Sole Nero raggiunge il suo Zenith rispetto al sole visibile, in cui proietta l’immediata furia che rende divini. Wuotan, ma anche il celtico Vate, gallese gwawd, irlandese faith, derivano dalla radice *uat, che presuppone una capacità poetica e divinatoria, non mediata dalla razionalità, associabile alla capacità di vedere gli inni vedici da parte dei rshi. In questo senso Drvid, sarebbe un composto di *drew, dritto, corretto, e vid di video, colui che vede correttamente. Sulla stessa linea si pone Dugin nella visione del sole di mezzanotte e del soggetto radicale:
«Fui raggiunto da una visione metafisica che predeterminò il percorso della mia filosofia: oltre al contenuto negativo, il processo discendente dispone di una peculiare teologia positiva, una sorta di super obiettivo. In quella visione, il super obiettivo si rivelò essere essenzialmente una prova»