La catastrofe incombente – La concezione del tempo nell’Edda e il suo “realismo eroico”
di Ans
«Nel primo volume di Parerga e Paralipomena rilessi che tutti i fatti che possono accadere ad un uomo, dall’istante della sua nascita a quello della sua morte, sono stati preordinati da lui stesso. Così, qualsiasi negligenza è deliberata, ogni incontro casuale un appuntamento, ogni umiliazione una penitenza, ogni insuccesso una misteriosa vittoria, ogni morte un suicidio. […] Una tale teleologia individuale ci rivela un ordine segreto e prodigiosamente ci confonde con la divinità.»
Deutches Requiem di J.L. Borges
Le pedine della scacchiera ritrovate tra le uggiose nebbie dell’isola di Lewis sono testimoni mute di una visione del mondo e di una filosofia di vita – quella dei pirati norreni detti “vichinghi”, da Vik porto – che ha affrontato i mari in tempesta, la razzia e un tragico destino di visionarie conquiste.
L’atmosfera stessa delle isole Ebridi, con le loro spiagge infestate di spiriti, battute dai venti e dalle mareggiate, sono lo scenario che il destino ha scelto come il più consono per il ritrovamento di questi noti pezzi del gioco degli scacchi. Tra di essi spiccano, ricavati dall’intaglio delle zanne di qualche tricheco groenlandese, il famelico berserker che affonda i propri denti nello scudo, così come le schiere dei cinocefali di Paolo Diacono, le regine che bevono la birra dai corni potori e infine i Re assisi su troni intarsiati di nodi di gordio e simboli polari come lo swastika.
Non a caso una raffigurazione in proporzioni umane del berserker che morde lo scudo attende il visitatore sin dal porto della cittadina di Stornoway, capoluogo dell’isola di Lewis, dove sorge il gigantesco cromlech di Callnish, già sede per Ecateo di Abdero del tempio circolare dove gli Iperborei osservano il moto della luna.
«Un cuore forte e duro Odino mi pose nel petto» ebbe a scrivere un ignoto compilatore islandese nell’Edda poetica: un rilievo che ben descrive lo spirito indomito di chi combatte fianco a fianco nel muro di scudi, di chi cavalca i mari tempestosi con le proprie imbarcazioni a forma di “drago” e di chi soprattutto continua a marciare nonostante il destino incombente dell’oscuramento degli dèi, il famoso Ragnarok.
Inventori di raffinate forme poetiche e di saghe che immortalano i loro eroi ferini, dominatori effimeri di gran parte d’Europa e persino avanguardie nel selvaggio Nord America, scopritori e colonizzatori d’Islanda, principi e fondatori di dinastie nelle lande dell’Est, dalla Normandia alla Svezia, dalla Groenlandia alla Sicilia, mercenari alla corte di Bisanzio, il loro destino beffardo li ha fatti apparire nella storia per poi fagocitarli, una volta fatidicamente infiacchiti dall’infezione spirituale egalitaria.
Per un popolo, quello norreno appunto, così fortemente votato alla razzia e alla guerra, la morte in battaglia, spesso beffardamente decisa dalla divinità sovrana, Odino, colpisce il guerriero delle saghe inaspettatamente, lungo una trama di difficile interpretazione. Odino infatti sceglie di tradire i propri eroi lasciando in sospeso la ratio di tale scelta. Come l’intreccio vichingo che richiama la serpe Jormungard, sembra seguire un flusso incomprensibile ed ipnotico, così si dipana la trama delle saghe.
D’altro canto il destino degli eroi, einheriar, morti in battaglia e ascesi al Valhalla, non si limita al gozzoviglio, alle bevute e ai combattimenti in questa sala degli scudi. Essi si preparano, si allenano, continuano a combattere in vista di una più grande battaglia di dimensioni propriamente cosmiche.
Immedesimandoci nei corvi di Odino, facendo nostra una visione dall’alto, il processo con il quale Odino sceglie di far perire alcuni sul campo di battaglia, risulta forse concepibile da un punto di vista propriamente destinale: per affrontare le orde del caos rappresentate dai Giganti e dai figli di Loki che marceranno contro gli Dèi alla fine dei tempi, calpestando il campo di Battaglia di Wigrid, non bastano uomini e combattenti usuali, servono persone straordinarie che in vita hanno legato il proprio destino alla divinità suprema tra gli Asi. Essi, traditi sul campo di battaglia della vita terrena, saranno però gli eletti che andranno ad affrontare il Lupo Fenrir in una battaglia catastrofe senza speranza volta al totale annichilimento.
Come ha evidenziato magistralmente Emilio They nel suo “Ragnarok”, le fonti norrene ci consegnano una visione del tempo e del destino cosmico che potrebbe essere associata al “realismo eroico” di Ernst Junger, quello di chi continua a marciare nonostante la fine e la distruzione incombente: nel suo manifesto Der Arbeiter che nella nostra corrente di pensiero riproponiamo soprattutto come L’artefice, Junger così si esprime «La virtù che si conviene a questo stato è quella del realismo eroico, che non è scosso neppure dalla totale distruzione o dalla mancanza di speranza».
La catastrofe è anche il rovesciamento: «La distruzione si trasforma in creazione – afferma Armin Mohler – lo sfacelo verso il quale il mondo va sempre più affondando non può essere, aggirato o evitato con freni o rimedi, ma dev’essere piuttosto affrontato solo con una spinta e un’esasperazione, quelle effettivamente in grado di condurre al rovesciamento»
Tale catastrofe di dimensioni epocali e cosmiche, che segna la distruzione di ambo le forze e imprime un destino di totale palingenesi dalla quale rinascerà interamente il mondo, non viene presentata nelle fonti eddiche, pensiamo ad esempio alla raccolta dell’Edda Poetica, in una concezione di tempo lineare propria alle concezioni del tempo venute in voga dalla fine dell’antichità sino alla contemporaneità.
«La sfera è sicuramente in contrapposizione più netta con la linea retta unidirezionale che non il cerchio. Per chi pensa per cicli significa che tutto è inserito in ogni momento; che passato, presente e futuro coincidono. […] In ogni istante ha principio l’essere; intorno ad ogni “qui” la sfera ruota in ogni “là”. Il centro dappertutto. Curvo è il sentiero dell’eternità». Così si esprime di nuovo Armin Mohler.
Quello delle Edda in tal senso parrebbe un tempo ciclico ma non solo, forse piuttosto un tempo ricurvo in cui la catastrofe è sempre incombente e per certi versi sempre presente. Esemplificativo in tal senso è la canzone di Vafthtrudhnir. In questo canto eddico Odino sfida il gigante Vafthtrudhnir in una gara di sapienza:
«Disse Odino: “Molto ho viaggiato, molto ho sperimentato, molto ho messo alla prova Gli Dèi: che ne sarà di Odino al tramonto dei tempi quando gli dèi verranno a mancare?
[..]
Molto ho viaggiato, molto ho sperimentato, molto ho messo alla prova gli dèi: che cosa disse Odino a chi saliva sul rogo, proprio lui, all’orecchio del figlio?
Disse Vafthtrudhnir:
Nessun uomo conosce, quel che tu al principio dei giorni hai detto all’orecchio del figlio»
Dunque sin dall’origine Odino ha già pronunciato le parole finali di congedo al figlio morto, nonostante tale evento dia l’inizio alla spirale di avvenimenti che fatalmente porterà al finale Ragnarok. Dunque la catastrofe non è semplicemente incombente, essa è preordinata nella stessa trama della creazione destinale del mondo, e gli dèi non possono impedirla, possono soltanto assecondarla, assumendola su di sé: «Volentem fata ducunt, nolentem trahunt»
Come nella citazione dal magistrale racconto di J.L. Borges, posta in apertura, l’atto di scelta del proprio destino operata originariamente confonde ogni sconfitta con una paradossale vittoria, ogni coincidenza con una scelta preordinata, ogni creatura divenuta cosciente di questa trama del destino, una divinità. Il superuomo di Nietzsche è colui che dice di sì, che afferma l’eterno ritorno, d’altro canto. E se le coincidenze e le premonizioni che rileviamo nella nostra vita non fossero i che ricordi del nostro precedente ciclo in cui abbiamo vissuto questa identica scelta di vita, dato che tutto è destinato a ripetersi? E se fossimo proprio noi ad aver scelto questo eterno ritorno fatto di mareggiate e burrasche della vita, di sconfitte e umiliazioni, di viaggi, scoperte ed oblii? E soprattutto se fossimo noi a dover dire di sì una volta ancora ad un destino di lotta, senza cedimenti, anche al cospetto della totale distruzione che chiuderà quest’epoca e ne aprirà fatalmente, dal rogo di tutte le cose, un’altra?