Ernst Junger, il “Lanzichenecco del Nulla”, per il ventesimo anniversario della sua morte.
di A. Ans
<<Noi Nazionalisti non crediamo ad alcuna verità universale. Non crediamo ad una morale universale. Non crediamo in un’umanità in quanto entità collettiva dotata di una centrale coscienza e di un diritto unitario. Crediamo piuttosto che verità, diritto e morale siano condizionati nella maniera più rigorosa da tempo spazio e sangue. Crediamo nel valore di ciò che è particolare>>
Stamane all’alba, godendo di un insolito momento di pace, abbiamo iniziato la giornata con la rilettura di Junger e dei suoi Scritti Politici e di Guerra editi dalla Libreria Editricie Goriziana.
Alcune considerazioni sull’Artefice, l’anarca e colui che si dà alla macchia si rendono infatti necessarie proprio oggi, ricorrendo l’anniversario della morte dell’uomo Junger, mentre la sua eroica figura non solo non conosce tramonto ma si moltiplicano piuttosto le iniziative e le riletture della stessa; riscoprendone soprattutto il lato meno conosciuto e meno politicamente corretto, quello sviluppato tra la fine del primo conflitto mondiale e il 1933.
Ne è un degno esempio lo studio “Ernst Junger e lo spirito del fronte come realtà permanente” recentemente apparso grazie a RigenerAzione Evola (http://www.rigenerazionevola.it/ernst-junger-lo-spirito-del-fronte-realta-permanente-parte/ ).
D’altro canto la figura dell’Arbeiter – punto di arrivo apicale del percorso del primo dopoguerra di Junger – rappresenta la sintesi archetipica massima realizzata dalla corrente nazionalrivoluzionaria propria alla Rivoluzione Conservatrice: come disse giustamente e con genialità un nostro sodale l’Arbeiter è assimilabile all’Artefice, dando così piena dignità mitica a questa figura in continuità ideale con gli interessi alchemici ed esoterici dell’autore stesso. Ovvero l’Artefice è un archetipo ( o se preferisci un idealtipo) quasi metafisico e ontologico che non è dominato dalla tecnica ma che interiormente la domina. Diviene il centro invisibile del movimento. Non è un caso che Evola abbia dedicato un suo libro a tale figura. E che persino Heidegger ne sia stato profondamente colpito.
Ecco alcuni passaggi da quello Junger scandaloso, che offende le “regenoidi dell’esoterismo petaloso” e i “radical chic della tradizione”; che arriva addirittura a far sua l’azzeccatissima espressione di “realismo eroico”, rendendola l’attitudine fondamentale del suo Artefice/Arbeiter. Ma il “realismo eroico” fu invece termine coniato da un intellettuale molto vicino al nazionalsocialismo, il dr. West: dettaglio scandaloso da tutti taciuto nei decenni successivi.
Ma lasciamo la parola a Junger:
<<Che cosa ha a che vedere l’elementare con il morale? È all’elementare che puntiamo noi: ed è esso che dopo tanto tempo ci si è reso visibile nella furia infernale della guerra. Non staremo mai dove un dardo non ci abbia aperto la strada, dove un lanciafiamme non abbia grandiosanente purificato tutto tramite l’annientamento. Perché siamo i sani veri e spietati nemici dei borghesi e la loro rovina è uno spasso per noi! … siamo figli della guerra e di una guerra civile e soltanto quando tutto questo, quando questo spettacolo dei circoli che ruotano attorno al vuoto sarà spezzato via potrà dispiegarsi quel tanto di natura di elementare di genuino vigore selvaggio, di lingua originaria di capacità di una vera testimonianza del sangue e del seme che ancora in noi teniamo in serbo. Solo allora si darà la possibilità di nuove forme>>
<<In un’epoca come la nostra si deve marciare anche senza bandiera>>
<<I vincitori sono quelli che passarono attraverso la scuola del pericolo come una salamandra>>
<<Il caos per chi sia in divenire è più propizio della forma. L’ordine é il comune nemico. Occorre innanzi tutto far breccia nello spazio senz’aria delle leggi perché possano dispiegarsi azioni su azioni e perché da caotiche riserve le azioni possano trarre nutrimento. La distruzione è nelle attuali condizioni l’unico mezzo che appare adeguato al nazionalismo. La prima parte del suo compito è di natura anarchica>>
L’anarca e colui che si dà alla macchia
Il reietto, il sotto proletario, lo sbandato, non sono autentiche traduzioni dell’Anarca di Junger e neppure della figura che cronologicamente lo precede: il Waldganger.
L’Anarca, Martin Venator, storico di giorno e barista del tiranno a capo di Eumeswil la notte, non vive da reietto o da emarginato. Egli osserva con occhio attento il potere, osservatore insospettabile proprio grazie al suo ruolo privilegiato al fianco del potere.
Venator sfrutta lo stato di Eumeswil per continuare le proprie ricerche storiche, utilizzando il Luminar, ipotetico antesignano di Wikipedia: un computer in cui tutto lo scibile e tutta la storia umana sono stati consolidati e possono essere consultati. Tramite un impegno scientifico e naturalistico, quasi come un agente segreto che lavora dietro le linee nemiche, affronta ed esplora una serie di bunker abbandonati nel deserto dove attrezza un nascondiglio per il suo futuro “darsi alla macchia”, per tradurre così l’espressione “waldgang”.
Torna così la nota espressione jungeriana di tramutare il veleno in farmaco; di utilizzare ai propri fini le dinamiche anche più parossistiche della contemporaneità e piegarle per creare spazi di autonomia e di libertà. Attitudine ripresa interamente da Evola nel suo Cavalcare la Tigre e con Lo yoga della potenza.
Insomma l’Anarca e il Waldganger si differenziano abbastanza rispetto ad una figura criminale universalmente nota che potrebbe invece, apparentemente, ricordare da vicino un Waldganger. Stiamo parlando di Theodore Kaczynski, il geniale matematico statunitense, che dopo aver bruciato tutte le tappe della carriera accademica si rifugia nella Wilderness di Lincoln, nel Montana, in un capanno isolato da tutto e da tutti, dove scriverà il suo “Manifesto contro la società” tecnologica. Ma soprattutto costruirà qui i suoi potenti esplosivi grazie ai quali sarà poi conosciuto come Unabomber, terrorista omicida in lotta contro l’ipersocializzazione della sinistra americana e soprattutto contro l’apparato scientifico tecnologico che sta distruggendo il pianeta.
Certamente il rapporto con la tecnica del Waldganger è completamente opposto rispetto a quello dell’Arbeiter/Artefice. E in questo Unabomber potrebbe apparentemente ricordare il Waldganger. Ma contrariamente a questo Ted è un vittima che si isola e che non è capace di nascondersi dietro il paravento di una professione.
E’ facilmente identificabile per il suo linguaggio e la sua condotta e finisce per essere preda delle autorità federali statunitensi. Ci sia concesso comunque di ricordare che almeno due delle molle che fecero scattare la furia omicida di Unabomber sono tipiche del mondo ipertecnologizzato: da una parte il fatto di essere stato oggetto di tremendi esperimenti all’università, dall’altro l’aver assistito alla distruzione dell’ambiente anche nel remoto Montana. Uno spettacolo, quello della fine della Wilderness del quale siamo tutti spettatori.
Ma chi è il Waldganger allora? Forse è più simile al Tyler Durden di Fight Club di quanto non possa sembrarci a prima vista. Egli abita le zone disabitate delle città, si nasconde dietro il paravento di una professione (persino più di una, sia quella impiegatizia che quella di fabbricante di sapone, aspetto molto alchemico per certi versi). E non ha perso il rapporto con l’elementare, ovvero con la lotta, sola che possa legittimare come il fuoco distruttore della prima guerra mondiale attraverso il quale come una salamandra il Krieger, il combattente, passa per purificarsi alchemicamente da tutte le scorie della reazione, del materialismo storico e dell’universalità dei diritti!