Quel giorno innalzammo la bandiera del Clan
Sotto molti punti di vista è difficile dire qualcosa di originale. Quasi tutto è già stato detto, meglio e più approfonditamente, da altri più grandi autori. Ciò che i mezzadri del pensiero possono fare è scavare, arare e portare alla luce concetti e idee che nel tempo sono andate perdute. Questo può essere fatto con lentezza e perseveranza.
Quando nel 2015 venne pubblicato per la prima volta il “manifesto” di Polemos, il testo portava con sé oltre un anno di attesa e ripensamenti. Aveva davvero senso pubblicarlo? Cosa aveva davvero da dire nell’epoca attuale?
Il confronto schietto tra menti libere ha alla fine dato vita a un’esperienza editoriale tesa ad approfondire lo studio della realtà e delle fratture attraverso le quali, nel buio del nichilismo, ancora brillano vampe di spiritualità integra. Quanto di vivo e operativo vi sia nei materiali prodotti sin qui, saranno i lettori a giudicare.
Il “manifesto” di Polemos è oramai completamente slegato dalla personalità del suo autore. Si può ben dire che ciò che allora è apparso come un’eruzione istintiva, oggi si conferma come il prodotto dello “zeitgeist” che ha impiegato come mezzo per esprimersi una persona collocata in uno spazio e tempo precisi. Il ruolo di quella persona è ora distanziato dal testo, ma il saggio non perde la sua attualità e problematicità. Qualora l’unica funzione del “manifesto” fosse quella di indurre il lettore a porsi una sola domanda radicale, allora il suo compito sarebbe assolto. Non è la risposta la cosa più importante, ma il cammino che un corretto domandare apre.
La conflittualità attorno a cui ruota il breve saggio da cui ha preso avvio l’avventura editoriale Polemos parte da presupposti ontologici, si sviluppa su direttrici sociologiche e antropologiche e si conclude in una prospettiva di rigenerazione virile comunitaria. In estrema sintesi i passaggi possono essere così riassunti:1. la legge dell’essere è il conflitto, espansione e contrazione, stabilità e mutamento; 2. questa instabilità vitale ha caratterizzato le originarie società umane caratterizzate in modo marcato da istinto territoriale; 3. tutte le società evolute hanno codificato il conflitto attraverso il diritto, sia in tempo di pace che di guerra esso è sempre esistito a tutti i livelli; 4. il mondo attuale tende ad appiattire le differenze per pacificare completamente l’esistenza, sebbene il conflitto continui a livelli più alti e meno esposti. Se la legge dell’essere è il conflitto, il suo totale azzeramento significa l’offuscamento dell’essere e la fine della storia. Contro questa prospettiva sorge la proposta – una delle possibili – di formare Clan tesi a rigenerare completamente la storia, la civiltà.
Perciò si è parlato di “Sovvertire il Kali Yuga”, che è in buona sostanza lo stesso che l’evoliana “negazione della negazione”. Il significante va riempito di significati, la lotta di oggi e domani, nel mondo dell’informazione e dei dati, sarà anche e soprattutto concettuale e semantica. Dunque si è parlato di Clan. È un concetto antico, che richiama le primordiali comunità indoeuropee, agli albori della storia e della civiltà. Il primo nucleo allargato di famiglie alleate tra loro per la sopravvivenza e la conquista. Il fuoco attorno a cui sedevano i capi famiglia in assemblea. La difesa del perimetro, la preparazione della battuta di caccia, la coltivazione del terreno, l’organizzazione del culto. Il Clan è il fondamento sacro in cui si raccolgono nell’essenziale i principi di una comunità di uomini. I suoi componenti sono prima di tutto i custodi dell’essere della comunità.
Se qualcosa può ancora significare il concetto su cui insiste e attorno a cui ruota tutto il “manifesto”, è precisamente nel chiedersi se sia possibile oggi formare e rendere operanti dei Clan di uomini orientati a replicare e riconfermare i canoni originari. Senza cercare una restaurazione, ma per rigenerare l’essenza dell’origine in forme nuove e differenti. Quale sia la fenomenologia del Clan non è ancora chiaro. Le sue potenzialità sono notevoli, conservano la loro validità nel momento in cui vi sia accordo tra consimili e questi vadano a creare un nucleo col preciso ed esplicito intento di dare vita a una propria legge, a un proprio mondo staccato da quello attuale. La natura, per quanto domata, è una dimensione che mette sotto pressione il corpo e la mente, richiede fatica e concentrazione. Lì l’uomo può rafforzare sé stesso. È possibile realizzare una simile prospettiva nel momento in cui si crei uno spazio vitale comunitario, una economia solidale interna, una educazione autonoma, una ritualità in grado di fissare dei simboli.
L’idea di Clan conserva tuttavia una sua validità psichica, per così dire. Si tratta con tutta evidenza di una potenzialità “astratta” e “virtuale”, che però in un mondo tutto slegato dalla realtà materiale e sempre più proiettato al digitale mantiene una sua possibile attuabilità. Non va mai sottostimata la potenza del pensiero e dell’immaginazione. Tutta la letteratura di fantascienza per esempio ha anticipato e per certi versi indirizzato molti cambiamenti tecnologici. Sul piano politico ci sono state utopie che si sono fatte sistema e afflati romantici che hanno lasciato la loro impronta nella storia. Il pensiero progettuale è uno degli strumenti più potenti a disposizione dell’essere umano. Se la sua immaginazione è rivolta a creare mondi alternativi, non è detto che questi non possano in qualche modo trovare realizzazione storica.
Si tratti anche solo di un Clan puramente astratto, esso rappresenterà un fuoco attorno al quale si riuniranno commilitoni lontani, fratelli di spirito che hanno scelto una medesima legge ma che il destino ha separato. Poco male. Una disciplina individuale, in mancanza d’altro, è sempre possibile e ci sarà sempre una bandiera nera da innalzare, un pugno di legnetti da legare assieme, un fuoco da tenere vivo nonostante tutto.
[F.B.]