“Fondamenti mito-poetici del calendario slavo popolare: ciclo estivo-primaverile” Simboli eterni nel ciclo di festività estivo-primaverili
Traduzione dal russo ad opera di G.O.
Tatyana A. Agapkina: “Fondamenti mito-poetici del calendario slavo popolare: ciclo estivo-primaverile” 2002. Capitolo I: Simboli eterni nel ciclo di festività estivo-primaverili
Parte III: Formazione del simbolismo calendariale.
Simboli Quaresimali – Prima Parte.
Nelle tradizioni slavo-occidentali sono riscontrati in gran numero vari pupazzi calendariali, costruiti tra la terza e la quinta settimana della Quaresima e operanti nell’ambito dei rituali denominati “la distruzione di Giuda” e “l’espulsione di Marena/Smert’ “(letteralmente “Morte” G.O.). A differenza dei simboli propriamente carnevaleschi le bambole quaresimali slavo-occidentali sono privi dell’ambivalenza tipica del carnevale.
Localmente presso gli sloveni durante la Settimana Santa si praticava la simbolica “segatura della vecchia Korizma” (chiaramente un prestito proveniente da altri popoli mediterranei, ma sconosciuto sia ai croati che ai tedeschi). “La vecchia Korizma”, “Veccchia”, “Vecchia di paglia”, veniva costruita con legnetti, ai quali si dava provvisoriamente una forma femminile; poteva anche trattarsi di un pupazzo in paglia, o di una tavola sulla quale veniva disegnata una figura femminile. Come segno del giungere di meta Quaresima “la Vecchia Korizma” veniva pubblicamente tagliata a pezzi (seghettata), si veda ad esempio la ripercussione di questo rituale nella forma idiomatica ceca “tagliare la vecchia” con il significato di festeggiare la fine di metà Quaresima. Questo tipo di azioni erano accompagnate da scherzi e comportamenti oltraggiosi (compiuti perlopiù nei confronti di neofiti e bambini).
“Il Giuda”. Il tutto l’occidente del mondo slavo (presso i polacchi, i sorabi, i cechi, gli slovacchi, i moravi, i croati e i gli sloveni) in uno dei giorni della Settimana Santa (mercoledì, giovedì, venerdì o sabato) si metteva in atto una simbolica distruzione/espulsione/oltraggio di Giuda (conosciuto come “la bruciatura di Giuda”). Giuda poteva essere il nome di un pupazzo (di paglia, spesso di grandezza umana e vestito con abiti vecchi) che veniva trascinato per le strade alla vista di tutti, veniva colpito con pietre e bastoni, e successivamente bruciato, annegato, seppellito, impiccato su un albero, gettato dal campanile. Presso i cechi “Giuda” poteva anche essere una persona fisica, dopo la funzione della Settimana Santa tra i giovani, quello che correva più veloce di tutti, per primo saltava il fuoco urlando “Io sono Giuda”, scappava mentre gli altri dovevano catturarlo. Nelle regioni meridionali della Polonia, secondo alcuni ricercatori, il pupazzo di Giuda fu impiegato come sostituto della figura di Smert’ o di Marzanna. Il carattere secondario e successivo di questo personaggio è evidente non solo dalla simbologia cristiana, ma anche dalla possibilità dello scambio di denominazioni: per esempio nella regione di Rzeszow i polacchi poteva chiamare il pupazzo preparato nella notte di Venerdì Santo non sono “Giuda” ma anche “Mamuna”. Tra tutti i simboli calendariali da noi osservati, “Giuda” in maniera maggiore di altri veniva rappresentato con un solo nome: gli slovacchi e i polacchi potevano chiamare “il rogo di Giuda” i fuochi tradizionali accesi presso le chiese nel Sabato Santo; i moravi chiamavano la pira della Settimana Santa “Giuda”, gli sloveni chiamavano “lo schiacciamento di Giuda” il costume di distruggere (saltandoci sopra e colpendolo) i vecchi mobili e stoviglie in legno durante il Mercoledì Santo; i cechi chiavamano “persecuzione di Giuda” l’attraversamento del villaggio durante la Settimana Santa, quando durante il rombo di sonagli urlavano “E tu, Giuda infedele, che cosa ha fatto…”. Anche presso i cechi e i moravi negli stessi giorni delle fascine erano intrecciate a lunghi pali chiamati “barba di Giuda” e successivamente bruciate.
Tra i simboli calendariali di inizio primavera (a dire il vero non esattemente quaresimali) è conosciuta anche in Polesia “l’espulsione dell’inverno” oppure “l’accompagnamento dell’inverno”, che venivano svolti durante il momento della resurrezione. Il carattere simbolico dell’”espulsione dell’inverno” si sottolinea dalla mancanza di qualsivoglia oggetto simboleggiante l’inverno in sé. “L’inverno” veniva espulso qui mediante urla, battiti, schianti, scontri simulati, veniva “spazzato via” oppure “gettato via”.
Tra i simboli slavo occidentali più popolari relativi al periodo della Quaresima troviamo Marena/Smert’ (lett. “Morte”). Si tratta di pupazzi/bambole fatti di stoffa di grano, canapa e legnetti e altro materiale. Spesso per la preparazione di Marena venivano utilizzati due legnetti incrociati a modo di croce (il legno orizzontale rappresentava “le mani” del pupazzo) i quali erano tenuti insieme dalla solomoi, venivano issato su un asta e successivamente vestito (alle volte con un vecchio vestito ordinario, composto da vari capi, gonna, camicia, platka ecc.) la testa del pupazzo derivava da un trjapki bianco, sul quale si disegnavano gli occhi, con tanto di bocca e naso; la testa poteva anche essere simboleggiata da un grosso uovo di oca sul quale si disegnavano gli occhi e la bocca. Il pupazzo/bambola così preparato nella maggior parte dei casi veniva innalzato su un bastone o un lungo palo, oppure qualche volta veniva posato su un catafalco (ceco máry catafalco) e in questo modo si portava per tutto il villaggio. Di regola, i vestiti e il nome del pupazzo lo identificavano come femminile, ma spesso sia per via dei vestiti del pupazzo sia per le decorazioni, i ragazzi e le ragazze che partecipavano alla processione del pupazzo richiamavano riti matrimoniali. La stessa Marena poteva per esempio indossare una ghirlanda (riservata alle spose, oppure quella usata dalle damigelle della sposa).
La stragrande maggioranza dei nomi del pupazzo quaresimale appare derivare dalle radici *sm’rt e *mor-/mar-, dalle quali sono originati termini per lo più di significato negativo. Troviamo polacco Marzanna (Mara, Marena, Marzanka) slovacco Mo(a)rena, Muriena, Marmu(o)riena, Marejna, ceco e moravo e polacco, Śmierć (Śmiercicha) ceco Smrt, slovacco Ssmertka e altri. Interessante notare come presso i cechi prevalgono i derivati da *smrt, presso gli slovacchi da *mar-/mor-, mentre presso i polacchi entrambe le varianti sembrano attestate. In alcune occasioni in coppia con il pupazzo femminile, veniva composto un pupazzo maschile, slovacco dialettale Smrt’och, Dedko, Marrá k, Marroch, ceco Smrtá k, polacco Żurak (dal polacco żur lett. zuppa di magro). Tra le denominazioni troviamo polaccco Zima (lett. inverno), e anche slovacco meridionale Kyselica, Kysel’, Kysa, (dal termine slovacco per la medesima zuppa).
Se parlando delle bambole di carnevale, riscontriamo l’origine delle loro denominazioni da crononimi, significanti in differenti lingue slave il periodo di Maslenitsa, la legittimità di ciò in relazione con le bambole quaresimali appare essere invertita. Infatti non sarebbero le bambole a prendere il nome a prendere il nome dal periodo bensì viceversa, esse risultano essere le fonti delle denominazioni degli specifici giorni e della settimana santa (polacco dialettale della Silesia sud orientale) Marzanka, Marzanna niedziela, (dialetto di Podhale) Śmiertna niedziela, slovacco Smrtna nedel’a, Marejnoá nedel’a, ceco Smrtná nedeeele, sorabo Smjertnica (“solitamente la quarta o la quinta domenica della Quaresima).
I relativi rituali slavo-occidentali con questi simboli ciclico-calendariali sono ottimamente descritti, dunque possiamo trarne alcune osservazioni generali. Le prime testimonianze di essi (contenute sia tra i divieti della chiesa, sia nei testi dei cronisti medievali) si riferiscono alla Cechia (XIV secolo), alla Polonia (dal XV secolo) e agli slovacchi (dal XVI secolo). Le azioni riguardanti il rituale di Marena/Smert’ si racchiudono (apparte la preparazione del feticcio) in due momenti principali: la processione per tutto il villaggio con il pupazzo (dall’uscita da casa con la richiesta di benedizione oppure senza di essa) e la successiva distruzione del pupazzo. Quest’ultima nella maggior parte dei casi veniva messa in atto attraverso annegamento in un fiume, lago, pozzanghera, palude, oppure attraverso combustione, smembramento in pezzi, lapidazione, inumazione nella terra, lancio da un’altura, rottura del palo sul quale era issata la bambola, e lancio di essa nella neve o nella fanghiglia. Veniva costruito un pupazzo per un intero villaggio, e durante la processione e la sua distruzione, di regola, partecipavano una moltitudine di persone.
Attraverso le similitudini nei metodi di distruzione dei pupazzi quaresimali e del periodo di Maslenitsa (festa antico slava poi sincretizzata con la Pasqua G.O.) da noi già evidenziate precedentemente, saltano all’occhio anche le differenze, e tra di esse la più importante, appare essere che nei riti quaresimali e nelle relative credenze lo scopo della distruzione del fantoccio è specificatamente definito, mentre per quanto riguarda il pupazzo di Maslenitsa questo non avviene. La distruzione del pupazzo di Smert’, di regola, è motivata da ragioni generalmente apotropaiche e di purificazione, e soprattutto dall’espulsione della morte in quanto tale. Secondo le credenze ceche, Smert’ veniva portata fuori dal villaggio e bruciata affinchè non potesse portare nessuno con sé; dopo avere gettato il feticcio nell’acqua occorreva correre in fretta a casa, infatti se qualcuno durante la corsa fosse inciampato nel percorso a ritroso, si diceva che la morte lo avrebbe aspettato nell’anno venturo; a tale proposito i cechi gridavano “Utiikejte, smrt nas honii!” (Corrette la morte ci sta addosso!”).
I rituali di espulsione di Smert’/Marena presso gli slovacchi spesso erano proiettati concretamente sulla morte di una persona. Nei villaggi intorno a Gron, un giovane girava con la bambola di Smert’ vestita di bianco, cercava un’anziana e intonava a cantare “Smert (si) porta, per chi (la si) porta? Per l’anziana tal dei tali”, similmente alla canzone quaresimale “Muriena, Muriena, per chi sei morta? Per l’anziano vecchierello, che ha la barba rada”. Secondo alcune testimonianze, gli slovacchi portavano il pupazzo di Marena / Smert’ / Kiselitsa fuori dal villaggio solo nel caso in cui dall’inizio della Quaresima alla Domenica delle Palme nel villaggio non era morta nessuna anziana; se invece aveva avuto luogo almeno una dipartita si diceva che l’anziana morendo avesse portato Kiselitsa con sé. I cechi ritenevano che se si fosse gettata Smert’ nell’acqua direttamente davanti ad una qualche casa del villaggio, in quella casa presto vi sarebbe stato un decesso. Analoghi motivi, collegati con il liberarsi di tutto ciò che era vecchio e passato in maniera negativa sono caratteristici di tutto il ciclo di inizio di primavera.
Gli slovacchi in Ungheria ritenevano che se avessero portato Marena in processione nel villaggio non vi sarebbero state piaghe, perché Marena avrebbe preso con sé tutte le disgrazie e le malattie.
Secondo testimonianze raccolte ad inizio XIX secolo Morena sarebbe “morova zena”, la signora della pestilenza, e il rito della sua “espulsione”, sarebbe un mezzo di proteggere dalle epidemie sia gli uomini che gli armenti. Motivi riguardanti “espulsione di malanni” sono presenti anche nei canti che accompagnano l’espulsione del pupazzo come “Espelliamo la malattia, portiamo la salute!”.
Tra i motivi ricorrenti delle credenze era presente anche il tema dell’inverno: I polacchi del voivodato di Lublino ritenevano che gettando via Marzanna avrebbero “cacciato l’inverno a mare”. Gli slovacchi della regione di Horehronie raccontavano che un tempo quando non espulsero Marena in tempo, l’anno si rivelò insolitamente freddo, cosicchè si dovette espellerla d’estate; nei villaggi di Turiec, dopo aver gettato in acqua la bambola di Morena, si usava dire che “si aveva affogato l’inverno” e i cechi, circumnavigando il villaggio con “Smert’”, dicevano che loro stessi “stavano seppellendo l’inverno”.
Il simbolo calendariale di questo periodo poteva essere incorporare anche il piatto tipicamente consumato in passato durante tutto il periodo del digiuno quaresimale: similmente troviamo in slovacco i termini Kysel’ica, Kyselka e il polacco Żurak, come denominazione di pupazzi/bambole che portavano lo stesso nome dello stufato acido molto popolare nel periodo della Quaresima. Il pupazzo quaresimale veniva cosi ad associarsi anche con l’essere affamati durante l’inedia primaverile: nei villaggi di Turiec mentre si portava fuori il pupazzo “Dedko” (letteralmente “nonnetto”), i giovani cantavano “Dedko, oh nostro dedko, tu hai consumato tutto il nostro cibo”. Infine la processione di Marena poteva essere motivata con altre considerazioni come ad esempio: evitare che la grandine distruggesse il raccolto, affinchè espellesse tutto lo sporco e l’impurità, e affinchè le ragazze potessero trovare marito.
In tutte le canzoni e cori che si accompagnavano alle azioni relative a questi simboli quaresimali è presente il motivo della rimozione dei feticci dai confini dello spazio culturale (come “Abbiamo portato Morena fuori dal villaggio”). Per quanto riguarda motivi esprimenti rimpianto per la fine del della Quaresima (simili a quelli incontrati nella festività russa di Maslenitsa) in questo caso non sono presenti.