Je suis Peter Sotos
Je suis Peter Sotos
Andrea Venanzoni
Una anomalia devia in maniera più o meno significativa dalla razionalità procedurale. E’ un incidente, una aberrazione. Una trasgressione che sgretola la norma posta. Ora vi spiegherò per quale motivo le fantasiose ricostruzioni (alcuni si sono lanciati in ardite Uberbau hegeliane) concettuali sottese alla vignetta di Charlie Hebdo sono una gran cagata, e per quale motivo i ritardati funzionali (analfabeti sarebbe troppo poco, in effetti) siete voi che ci vedete dietro la trasgressione crudele e marcia dei canoni posti a fondamento della società corrotta occidentale (e nel caso di specie, di quella italiana). Nella redazione di CH, da BOBO perfetti, come in Francia chiamano i radical chic, conoscono perfettamente le leggi del Capitale, ma non per combatterle bensì per assecondarle, perché diciamolo: il problema più grande di CH è il suo essere gendarme, sbirro, del sistema occidentale, quello comodo, quello rassicurante, che può spingersi verso territori in apparenza trasgressivi ma solo quando la trasgressione riguarda “altro”.
Andrè Breton nella sua “Antologia dello Humour Nero” scriveva che l’umorismo nero deve essere nemico irriducibile del sensazionalismo all’acqua di rose; deve cioè produrre una messa in questione dell’impalcatura assiologica su cui è fondato un dato sistema. Una impresa radicale, ben conosciuta dai situazionisti, specialmente da R. Vaneigem che nel suo “Libro dei Piaceri” definiva la trasgressione un comando merceologico del capitalismo; e d’altronde nel suo grandemente citato e scarsamente letto “La società dello spettacolo” Guy Debord definiva l’immagine spettacolare come una merce che contempla se stessa. E questo è CH, un gigantesco ombelico che pastura continuamente shock a basso costo, ma uno shock davvero innocuo per i pilastri essenziali del sistema.
Per quanto possa apparire paradossale, e ce lo ricorda nell’ampiamente sottovalutato “Culture dell’Apocalisse” Adam Parfrey, nel “liberale” e panciuto Occidente, capace in apparenza di metabolizzare qualunque impulso dissonante, le autentiche forze eversive vengono ancora punite con la messa al bando (boicottaggio, non distribuzione, silenzio tombale, ostracismo in varie forme) o nei casi più estremi con la galera. Avviene per i razzisti, per i negatori dell’Olocausto, le cui opinioni, discutibili o meno che siano rimangono comunque esercizio di una opinione (non mi si risponda con la solfa popperiana; un presunto libertario dovrebbe tenere Popper lontano almeno duecento metri), è avvenuto per Peter Sotos, per Jim Goad, scrittori ed intellettuali (mi perdoneranno l’utilizzo del termine, non era offensivo) che hanno conosciuto le galere americane per aver prodotto riviste che si situavano, semplicemente, troppo in là per i canoni ristretti della accettabilità borghese e della falsa trasgressione dei progressisti da quattro soldi. Quando Sotos redigeva PURE, che gli valse le attenzioni della polizia e successivamente una condanna e il carcere, non si poneva il problema del “sotteso”, della metacomunicazione, non si atteggiava a bohemienne maledetto (salvo poi dover rinnegare tutto alla velocità della luce quando messo con le spalle al muro). Le sue non erano “provocazioni” o almeno come tali frettolosamente rubricate per stornare l’attenzione malevola delle forze del politicamente corretto. Fece la galera, con dignità. Senza solidarietà di massa, senza cartellini e hashtag tronfi.
Perché dico questo? Perché la redazione di CH ha una lunga tradizione di CENSURA. Esatto, avete letto bene; quelli che in apparenza dovrebbero essere i dissacranti profeti del “nulla è sacro, tutto è permesso” in realtà sono dei catecumeni della indignazione un tanto al chilo. Quando in Francia venne pubblicato il laido e cinicissimo HITLER=SS del dinamico duo Vuillemin e Gourio, alcuni dei simpatici giornalisti della redazione di CH contribuirono a chiederne sequestro e messa in stato di accusa; perché quel fumetto poneva sotto una sinistra luce di cinico umorismo nerissimo, ai limiti dell’ultravioletto, l’Olocausto.
La redazione di CH è stata attraversata da diverse scissioni, perché vignette proposte su alcuni temi (ebraismo, Olocausto) venivano quasi sempre scartate. Era TROPPO. Troppo ? Ma come fa ad esistere un troppo per chi si professa a favore della libertà di espressione assoluta ? Questi idioti dovrebbero andare a lezione da Mel Brooks e da Gene Wilder che, da ebrei, realizzarono “Per favore non toccate le vecchiette”, un film del 1968 (epoca in cui si sapeva bene dell’Olocausto) che finiva per mettere alla berlina certi mitemi e ironizzava (era una commedia e un musical!) sul Terzo Reich, sulla Guerra, sugli ebrei stessi, cose queste che oggi potrebbero portare qualcuno in galera. Oppure potrebbero leggersi “Note scarabocchiate al buio guardando Schindler’s List, ovvero qual è il prezzo delle pentole & tegami di Schindler?”, racconto di Raymond Federman, ebreo pure lui, che percula grandemente Schindler’s List. CH ha persino uno Statuto. Potete immaginare qualcosa di più ridicolo e meno libertario di uno Statuto, ovvero di un codice deontologico composto di comandi, norme, divieti, imposizioni ? In questo Statuto si fa divieto di scherzare sul razzismo, sull’Olocausto, sull’ebraismo, e no, non è una boutade patafisica. E’ qualcosa che da quelle parti prendono molto molto sul serio, tanto che nel 2008 pensarono bene di applicarlo e licenziare uno dei loro redattori di punta, Maurice Sinet.
Ed ecco il secondo punto; la redazione di CH figura tra i più fervidi assertori della bontà della legge ultra-libertidica Gayssot, che punisce la (mera) espressione di opinioni critiche o revisioniste sull’Olocausto. I fenomeni campioni della libertà di CH sono per altro tra i firmatari di varie petizioni per lo scioglimento ex lege del Front National, opzione questa piuttosto singolare per chi professa la libertà totale.
Tutto questo ci porta al nocciolo della questione: la satira radicale, la violenza antisistema, o è totale o non è. I grandi umoristi ultravioletti, i Jarry, i Dix, i Kraus, si situavano oltre l’immaginaria linea dell’accettabilità borghese in maniera conscia e piena, non eseguivano giochetti verbali per rinfocolare la produzione capitalistica. D’altronde CH, dopo essere stato ironia della sorte oggetto dell’attacco qaedista ed essere divenuto epicentro della grottesca compassione mondiale 2.0, capitalizzò al massimo questa esecrazione, e la immagine che meglio lo rappresenta (aldilà della lagnosa e ben poco coraggiosa copertina del “giorno dopo”) è quella schifosa parata di Capi di Stato che militarizzarono in corteo le copertine dei mass media. Vendute 2,5 milioni di copie, con una copertina alla Famiglia Cristiana che sarebbe piaciuta per ecumenismo ipocrita pure a Papa Francesco (un Maometto piangente che reggeva il cartellino insopportabile “je suis Charlie”) – mi sarei aspettato qualcosa di meglio, sinceramente. Ad esempio Charb o Cabu in un bel laghetto di sangue e merda, mentre imploravano di aver risparmiate le loro vite, tanto perché loro erano quelli del “preferisco morire piuttosto che vivere in ginocchio”, frase che avrei messo giustapposta debitamente a loro in ginocchio con le mutande sporche di cacca. Questa sarebbe stata auto-esecrazione ed esercizio filologico di coerenza di una vera policy “nulla è sacro”. Dovrebbero leggere l’opera omnia di Hervè Guibert, questi mentecatti ipocriti, dovrebbero comprendere come Guibert sia riuscito a trarre poetica, anche umoristica, dal suo quotidiano dolorosissimo morire di AIDS.
Breton diceva che il gesto surrealista sarebbe stato lo scendere armati per via e sparare sulla folla. Parafrasandolo, potremmo dire che il gesto surrealista per eccellenza è stato proprio entrare nella redazione di un giornale satirico e sparare. Satira al quadrato.