Mad Max – Fury Road (o dell’ingegneria sociale post atomica) di Andrea Anselmo (Polemos I 2015)
Nel mio immaginario, formatosi negli anni ’90 con gli episodi originali della saga, Mad Max è l’uomo lasciato a se stesso, misura delle cose. Custode dell’ordine nel primo episodio, una volta perduta la propria famiglia si
trova a vagare in un mondo privo di senso lasciandosi alle spalle un passato tranquillizzante ormai del tutto perduto. Il tema dell’uomo senza più appigli gettato nel deserto post atomico “reale” e nel deserto “valoriale”
post-novecentesco mi ha sempre attirato, così come la figura per certi versi molto simile di Ken il Guerriero, che però è a tutti gli effetti un portatore di una Tradizione e addirittura di una scuola esoterico-marziale (la Scuola di Hokuto). Il recente remake invece cambia e di molto, le carte in tavola. Mad Max è ridotto ad un mero complice della fuga di un gruppo di “madri” che scappano dalla dittatura di Immortan Joe, un ex militare che detiene il possesso dell’acqua e a capo di un esercito di guerrieri votati alla morte e alla conquista del Valhalla. La figura, per quanto grottesca, di Immortan
Joe merita una trattazione particolare. Lo vediamo sin dall’inizio come una sorta di dittatore, ricco di decorazioni, che parla da un pulpito alla
massa di diseredati. E’ l’elargitore dell’acqua, è poligamo, il suo figlio prediletto è un armadio palestrato.
Le sue truppe sono fanaticamente pronte alla morte in battaglia per poter accedere al Valhalla. Cercano la morte impavidamente e anzi vogliono che questa sia celebrata e ammirata dai loro compagni d’arme. Contro
tutto ciò si ribellano le “madri”. Tale gruppo di ribelle è guidato da Furiosa, una “imperatrice” guerriera, a sua volta proveniente da una tribù di amazzoni neppure tanto velatamente lesbiche. Alla figura patriarcale
e guerriera viene attribuita la colpa di aver distrutto il mondo, di considerare le “madri” delle cose. Mad Max diventa un semplice alleato di questo tentativo di liberare il mondo dalla dittatura di Immortan Joe: il
protagonista maschile diventa un accessorio.
La scena finale addirittura consegna la cittadella di Immortan Joe ai diseredati, scena che sa tanto di invasione di massa dell’Europa ad opera proprio dei diseredati. Insomma l’ingegneria sociale non conosce tregua.
Essa colpisce costante mente e astutamente, infiltrandosi in ogni meandro, in ogni produzione che possa avere una diffusione di massa. Questo martellamento continuo, potenziato all’inverosimile dalla pervasività
dei mass media e di internet che se trova ancora delle minime resistenze nelle generazioni adulte trova sempre maggiori spazi nel seminare la propria ideologia nell’inconscio e nell’immaginario dei più giovani: in
questo caso demonizzando la figura del “padre” rispetto a quella delle molte madri lesbiche in fuga dall’autorità maschile e portatrici del disinganno rispetto all’ideologie dell’abnegazione militare.